«Se fossi ricco la comprerei domani: le società appetibili sono quelle con grande spinta popolare. Guarderei la Sud e senza pensarci andrei subito a firmare l’atto d’acquisto», dice Walter Sabatini nell’intervista rilasciata al Secolo XIX in merito alla cessione della Sampdoria che è il suo «grande rimpianto. Non ero in condizioni fisiche per poter lavorare bene, per fortuna c’era Osti che è molto bravo. Sono rammaricato di ciò che non ho fatto, Genova è civilissima, la tifoseria della Samp merita qualsiasi sforzo. Sono stato molto deludente, non me lo perdono, nella vita e nel calcio è ridicolo non prendere atto delle proprie responsabilità. Resto un simpatizzante, quando la Samp gioca messaggio Giampaolo e i miei ex giocatori, la seguo».

L’ultima esperienza è invece stata quella alla Salernitana con il miracolo salvezza, che era data al 7%: «Quel 7% ha segnato un’epoca – spiega Sabatini -, dentro le percentuali mi diverto ma con quelle degli altri, io ne sto lontano. Ho tanti sogni, sento di poter fare molto, non è finita, voglio tornare a lavorare sui mercati sudamericani. Studio la storia della capoeira e della ginga per capire cosa scorre nelle vene dei brasiliani, spettacolo e risultati nel sangue: lì ho preso Ederson, fondamentale per la salvezza granata e ora per il mercato. Credo molto in ciò che faccio, continuerò a seguire le mie inclinazioni».

Sulla rottura con Iervolino: «Non mi fa più rabbia, è una cosa già talmente antica che è come se non fosse mai successa. Nella vita sono caduto, ho sbattuto la testa tante volte, mi sono fatto male ma non sento più dolore. L’impresa rimane nella mia psiche, ma distaccata. Le cose passano, soprattutto nel calcio, se non sei pronto a parare gli effetti sei morto: vivere di nostalgia non è possibile e non è giusto».

Per l’ex centrocampista si tratta di un inizio di stagione da spettatore: «Come lo vivo? Come chiunque sta fuori. Chi è nel calcio ha sempre una fibrillazione interiore per essere operativo. Ho voglia, certamente succederà qualcosa, non credo nei prossimi giorni, la stagione è lunga. Preferirei in Italia ma pure l’estero è ok. Mi manca la partita, quel filo di paura prima della gara, una necessità fisica anche se poi quando la vivi può essere una rottura di scatole e ti chiedi chi te lo fa fare ma vale per tutti, dirigenti, allenatori, calciatori».